Free at last

Domenica, 3 febbraio (22° giorno, tredicesima ora)

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Free at last

They took your life

They could not take your pride

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L’infinito poteva attendere

Matita, china e matite colorate © Dario Angelo, agosto 1997. Da originali di vari artisti, fra cui Roberto De Angelis (per Nathan Never)

Sabato, 19 gennaio (7° giorno)

Quel sottoinsieme di me che, quando se ne ricorda, veste panni di blogger, compie oggi 8 anni. Un numero interessante. Equilibrato, rotondo, simmetrico.
Girandolo di 45° in un verso o nell’altro, il numero otto pare quasi identico al simbolo dell’infinito. Che a propria volta esprime un concetto interessante. Qualcosa di estremamente astratto con cui a volte  ci misuriamo, ma che riusciamo a malapena a concepire, figuriamoci a comprendere.
Eppure, ci piace (a me per primo) rigirarci in bocca parole come questa, infinito, appunto; quasi a volerne assaporare il mistero, illudendoci di acquisire maggiore familiarità, dunque comprensione del concetto, così, per osmosi, abituandoci all’uso del termine.

Ebbene, si diceva, sono ormai otto anni. Forse non dovrei sottolineare la ricorrenza, non solo perché mio malgrado continuano a essere più numerosi (smodatamente più numerosi) i giorni di assenza che quelli di presenza. Ma perché pare che porti sfiga.
Io però non ci credo. Nella sfiga, intendo. La sfiga, la sfortuna, la malasorte, il malocchio, comunque  lo si voglia chiamare, perfino il demonio per chi crede a queste cose, a parer mio è solo l’ennesima, scontata astrazione cui fare ricorso di fronte a eventi che non comprendiamo. Scelte sbagliate che non sappiamo sconfessare né redimere. Fragilità con cui non riusciamo a convivere. Fallimenti dei quali non vogliamo farci una ragione, che ci ancorano al passato, rendendoci impossibile andare avanti.
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Tú me vuelve loco

 

Funziona così.
Lei mi manda questo video, mentre sono steso sul lettino della Dany a farmi fare un nuovo tatuaggio. Un lavoro programmato da tempo, ma che, per l’idea che contiene, si incastra in questo esatto momento di congiunzioni cosmiche con perfetta giustezza e pertinenza.
Mentre la Dany incide sottopelle da par suo, con mano gentile e sicura, io le racconto di lei. Fin qui nulla di strano, in questi giorni sto raccontando di lei a tutti coloro a cui tengo. Credo possiate intuire il perché. Sono convinto, sapete, che le cose migliori capitino quando siamo pronti a riconoscerle, e a viverle in modo grato, naturale, pieno. Come dite? Se mi sento pronto in questo particolare contesto? Facciamo così: prendetevi cinque minuti di pausa, andate a fare altro, distraetevi dall’argomento qui trattato. Poi tornate a leggere il resto. Sarà più o meno il tempo che occorrerà a me per ricompormi e smettere di ridere pensando alla vostra domanda.

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Too weak to fall

Brandon Lee, The Crow © Julian Vlad 1996. Matita e china, riprodotto da un’elaborazione grafica di autore sconosciuto

Mi ero ripromesso di non farlo più.
Riapparire dopo una lunga assenza con un post pieno di entusiasmo, una sorta di “cari amici rieccomi a voi”, spiegare il perché e il percome fossi stato via così a lungo.
In un passato recente avevo optato per una cosa come questa, in cui dico ciò che ho da dire raccontando una storia a tema libero sia pure con un intento preciso.
Del resto, pensavo fra me, non c’è nulla che io debba davvero scrivere, dire, precisare. Di punto in bianco si ricomincia e si va avanti.
Ma, nemmeno, dev’esserci per forza una sola strada. Mi piace rimettere in discussione le mie idee, assecondare l’ispirazione del momento anche se questo può significare contraddirmi. Amo contraddirmi. Voi no?
Dunque, cari amici, rieccomi a voi.
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