Gli sbiaditi

Fondata nel 1900, la Società Sportiva Lazio scelse come proprio il nome della regione di appartenenza, anziché quello della città.

Una cosa che ai primi del Novecento facevano parecchie altre squadre: esistevano infatti il Piemonte, la Liguria, e così via.

La parola chiave è “esistevano”. Di tali compagini si è persa ogni traccia da prima che Berta filasse: al giorno d’oggi, l’unica società di calcio professionistica che ancora porti il nome di una regione, o per meglio dire di un territorio, è il Südtirol, per ovvie motivazioni identitarie.

Il calcio, fra l’altro, non fu fra le discipline contemplate dalla suddetta polisportiva all’atto della propria costituzione, che annoverava podismo e canottaggio. Poi, a un certo punto piacque loro pure il pallone, e potrei anche disturbarmi a verificare in quale anno inizino a comparire negli annali dei campionati di calcio, ma francamente me ne infischio.

Fu questo, probabilmente, cioè lo scopo per cui tale esimia società venne fondata, a ispirare i costituendi nel prendere spunto, per i colori, dalla bandiera della Grecia, antica patria delle Olimpiadi.

Peccato che la bandiera greca sia bianca e blu, come si può ben notare nell’immagine tratta da Wikipedia. Invece l’esimia società podistica scelse il bianco e l’azzurro, vai a sapere perché, con predominanza di quest’ultimo.

Da cui, ça va sans dire, essi meritano e meriteranno per sempre l’appellativo di “sbiaditi1“.

Come simbolo scelsero l’aquila, in onore dell’aquila imperiale romana, e fu l’unica cosa davvero azzeccata che fecero per sottolineare un qualche legame di appartenenza alla romanità. Solo che con quest’aquila c’hanno fatto du maroni tanti.
Negli ultimi anni hanno pure avuto la brillante idea di ingaggiare un falconiere, che ne libera una, di aquila, prima delle loro partite in casa; il povero nobile animale si fa un voletto nella porzione di cielo racchiuso dalla copertura dello stadio Olimpico e poi torna a posarsi sul guantone del suo conduttore. Come se la Roma, prima delle partite, mandasse fuori la propria mascotte a portare al guinzaglio un vero lupo ridotto in cattività, facendogli fare un giro di campo a guisa di scimmietta ammaestrata.
Che tristezza.

Per quest’altro motivo, fra gli sfottò romanisti versus laziali comparve a un certo punto il motto “povero gabbiano” (come quello raffigurato in apertura e tratto da qui), che in romanesco viene contratto in un più efficace “poro gabbiano”.

Per chi non ne fosse a conoscenza, giova ricordare che sia l’esimia società che i propri tifosi nutrono un’autentica ossessione nei confronti della Roma: non mancano di ribadire a ogni piè sospinto un loro presunto diritto di primogenitura e di effettiva e peculiare rappresentanza della città di Roma2.
Di cui non portano né il nome né i colori, ancora disponibili e dunque giustamente fatti propri da Italo Foschi e dai presidenti delle altre società di calcio romane dell’epoca (tutte tranne l’esimia, si capisce, che nell’occasione avrebbe voluto mantenere sia nome che colori propri e rimpinguare le proprie casse con gli apporti di quelle altrui), allorché, nel 1927, scelsero di fondarsi per costituire l’Associazione Sportiva Roma, sempre sia lodata e con essa i padri fondatori.

La Roma divenne ben presto la squadra più tifata e seguita della Capitale, così è stato da allora ed è ancora più marcato ai giorni nostri: recenti studi condotti con rigore scientifico hanno certificato ciò che già era noto e verificabile: ovvero che, calcisticamente parlando, Roma è giallorossa; il tifo laziale è minoritario in ogni zona della città e prevale perlopiù nelle periferie e nei centri limitrofi. L’esimia società, peraltro, nella Città Eterna che pretende di rappresentare, non ha nemmeno la sede: la sua sede sociale è a Formello, comune a se stante che non fa dunque parte di Roma Capitale (a differenza di Ostia, ad esempio, da cui proviene il nostro Danielino).

Credo che, a questo punto, sia superfluo spiegare per quale motivo, nel modo più neutro e meno irrispettoso possibile, io sia solito riferirmi ai “cuggini” come ai “periferici”.


1 A dire il vero, qualche anno fa ci fu un gruppo (o forse più di uno, ma non ha importanza), all’interno del tifo organizzato laziale, che tentò di risolvere questa contraddizione al grido di “noi siamo i biancoblù”, senza riscuotere molto successo. Tifo organizzato laziale, peraltro, di cui ampie branche sono dichiaratamente e orgogliosamente fasciste, meritando quindi appieno l’appellativo spregiativo dedicato loro dai tifosi giallorossi: “fogna de sta città”.

2 Potrebbe sembrare un’innocua questione di campanilismo, e in fondo lo è, perché, diciamocelo, chisselincula quelli. Ma i loro rappresentanti societari e non pochi tifosi si rendono spesso e volentieri protagonisti, sui social e non solo, di certi cortocircuiti mentali tanto assurdi da indurmi talvolta a pensare, al pari di Rami Malek in Mr. Robot, “non so nemmeno più cosa sia reale”.